Categorie
Mutui e tassi di interesse

A forza di parlare di trasparenza, si diventa oscuri.

A forza di parlare di trasparenza, si diventa oscuri.

Con il titolo “Prezzi poco trasparenti” comincia l’intervista di Marcello Frisone al prof.Umberto Cherubini, docente di matematica per le applicazioni economiche e finanziarie alla facoltà di Economia dell’Università di Bologna, apparsa sul Sole 24 Ore di oggi, supplemento Plus 24, che di seguito si riporta.

Occhiello “La commissione non dichiarata mina l’efficienza e la concorrenza”

Il fatto che le banche non indichino il prezzo della commissione applicata allo swap mina l’efficienza e la concorrenza del sistema bancario, imponendo costi alla collettività. La pensa così Umberto Cherubini, professore associato di matematica per le applicazioni economiche e finanziarie del l’Università di Bologna.

Professore, è vero che soltanto alla scadenza del derivato si possono quantificare gli effetti (positivi o negativi che siano)?

Come una cura o una medicina, se ha funzionato lo scopriamo soltanto dopo ma medici e case farmaceutiche ci dicono con quale probabilità ci possono migliorare la vita oppure creare problemi. Le scelte vanno fatte sempre prima ed è l’informazione ex-ante che conta nella medicina e nei derivati. E la questione della trasparenza si riferisce a questa informazione.

Il direttore generale del l’Abi, Giovanni Sabatini (si veda articolo a sinistra, ndr) sostiene che «la banca deve essere remunerata per il servizio reso nella vendita del derivato mentre è opinione diffusa che questo margine di remunerazione è una commissione illegittima e per di più occulta». Qual è la sua considerazione?

Sabatini ha ragione quando dice che il margine di remunerazione è una commissione assolutamente legittima. Anche che non sia dichiarata esplicitamente all’inizio del contratto è legittimo. Detto ciò, è comunque un problema che mina l’efficienza e la concorrenza del sistema bancario e impone costi alla collettività. La trasparenza dei prezzi consente infatti agli utenti di scegliere il contratto migliore e scoraggia comportamenti in cui il legittimo fine di includere una commissione ha minato, se non del tutto snaturato, l’efficacia di copertura del contratto.

Ma cosa significa snaturare l’efficacia del contratto?

L’abbiamo visto nella maggior parte dei contratti con gli enti pubblici. Un ente vuole cambiare dei pagamenti da fissi a variabili e io posso fargli pagare i miei costi imputando delle rate fisse (spread) oppure mettendo una soglia inferiore ai pagamenti a tasso variabile. Se metto la soglia al 7%, è chiaro che oltre a far pagare all’ente le commissioni non gli ho offerto il servizio che mi aveva chiesto, perché di fatto paga un tasso fisso. È come se al ristorante ordinaste pasta al vostro sugo preferito e vi servissero la pasta in bianco. Chiedereste: “Dov’è il sugo?”. “Ce lo siamo trattenuto per il coperto”. È chiaro che un ristoratore così non può reggere alla concorrenza. Eppure, l’esempio sull’ente che ho fatto è vero e la concorrenza non ha fatto giustizia.

Per l’Abi è inopportuno introdurre nel regolamento per i derivati venduti agli enti «gli scenari probabilistici adottati dalla Consob perché non incrementerebbero il livello di trasparenza». Elemento, quest’ultimo, invece di facile portata con l’approccio what-if proposto dall’associazione dei banchieri. Cosa ne pensa?

Nel calcio what-if significa che il risultato può essere 1, 2 o X, non è il massimo dell’informazione. Lo è invece se diciamo che un risultato è pagato 10 volte la posta. Nel caso del convertendo Bpm, per esempio, il prospetto avrebbe potuto limitarsi a segnalare la possibilità di perdere parte del capitale ma sapere che questo aveva il 70% di probabilità è stato senz’altro più informativo. La trasparenza sulla probabilità che un prodotto funzioni è altrettanto essenziale di quella sul costo. Questa trasparenza è all’ordine del giorno e affermarla non spetta certo alle Procure, ma impedirla sarà impossibile: la realizzeranno le associazioni di utenti e i consulenti indipendenti e, se necessario, l’università.

John Maynard, quello vero, e quello fasullo, che scrive qua sopra, non hanno mai fatto uso eccessivo della matematica (lo scrivente non la ama e non le ha mai preso le misure). Ma sia John Maynard, quello vero, sia quello di paese, hanno sempre amato la chiarezza, quella che manca:

  1. in un articolo che non corrisponde, nei titoli, al contenuto;
  2. in un’intervista, fatta ad uno scienziato dei numeri, rispetto ad un problema che è di funzionamento del mercato, non quantitativo;
  3. nell’esaminare un problema, quello del regolamento sui derivati, in preparazione presso il Ministero dell’Economia, che non può essere risolto rimanendo sul tema trito e ritrito della trasparenza.
Categorie
ABI Banche Consob Rischi Unicredit

Swap wars (i rischi del mestiere).

Il Sole 24 Ore di domenica dà ampio spazio a quella che viene chiamata la “guerra degli swap“, registrando l’aumento dei ricorsi e la crescente litigiosità manifestata da Comuni, Province, Regioni. Nello stesso giorno, sullo stesso giornale e nella stessa pagina, Mario Sarcinelli, Presidente di Dexia-Crediop -ovvero una delle banche maggiormente attiva nella vendita di tale genere di strumenti- afferma che “non possono essere i giudici a sciogliere problemi tecnici“, lamentando sostanzialmente la disinformazione e la scarsa preparazione dei consulenti degli Enti Pubblici che hanno stipulato questi contratti. Gli enti, ovviamente, lamentano i costi occulti e la scarsa trasparenza dei contratti, tali da dar luogo ad addebiti alla sola Regione Lazio per 82 milioni.

Nel frattempo, scorrendo le pagine del principale quotidiano economico italiano, si ha notizia del prossimo convegno di Unicredit, (18 gennaio 2011 a Torino) avente per titolo “I rischi del mestiere” e come sottotitolo “La gestione del rischio di cambio e gli strumenti di copertura finanziaria nei momenti di discontinuità economica“. Fatti i complimenti al copy, e in generale all’ignoto inventore di titolo e contenuti, non sarebbe male ricordare che:

  1. le nozze non si fanno con i fichi secchi (gli strumenti di copertura sono strumenti assicurativi, non si è mai visto che siano gratuiti); magari tenere il bilancio pubblico un po’ più a dieta, pagare meno qualche compagnia di teatro all’avanguardia e chiedere pareri seri?
  2. appunto: i consulenti degli enti pubblici chi sono? Esistono davvero, sono professionisti, o colleghi preparati sul tema o si è tentato di risparmiare anche su di essi, oltre che sui tassi?
  3. ancora: per quale strana ragione un ente pubblico dovrebbe pensare che uno strumento contrattuale che prevede, simmetricamente alla perdita di uno dei contraenti, l’utile dell’altro, sia venduto dalle banche? Per perdere? Per senso civico?
  4. se perfino ABI chiede a Consob di definire delle regole, forse è davvero grande la confusione sotto il cielo, perché evidentemente le banche temono i rischi di azioni legali che le porrebbero facilmente in una luce sfavorevole, con giurisprudenza spesso a sfavore;
  5. infine, per non saper né leggere, né scrivere, Moody’s è pronta a declassare il rating del Comune di Firenze se questo non dovesse pagare le obbligazioni derivanti dallo swap, aggiungendo le beffe di un nuovo danno a quello già patito.

Anche tralasciando le affermazioni di Mario Sarcinelli, che predica pro domo sua, le lamentazioni degli enti pubblici ricordano troppo quelle di un bambino che giocando troppo col fuoco finisce per scottarsi. Solo che la pelle non è (solo) la sua.

Categorie
Banche Cultura finanziaria Educazione Fabbisogno finanziario d'impresa Indebitamento delle imprese informazione PMI Unicredit

L’onere della prova.

Perry Mason, una scena dal celebre telefilm

“La banca non ha carpito la buona fede dell’investitore”. Questo il giudizio, in sintesi, emesso dal Tribunale di Torino, nel rigettare tutte le domande di risarcimento danni avanzate nei confronti di Unicredit, per la sottoscrizione di un derivato sotto forma di convertible swap, di iniziali 27mila euro. La S.r.l. in questione, a conduzione familiare, non avrebbe posseduto, secondo l’istanza poi rigettata -ed anche secondo me: molti piccoli imprenditori non sanno nemmeno dove stanno di casa, seguono il navigatore dell’auto per arrivarci- la qualifica di, appunto, “operatore qualificato.” A leggere gli scarsi dati riportati da Alessandro Galimberti nel Sol 24 Ore di oggi non c’è di che stare allegri. Le banche affidavano l’impresa per 1,2 milioni di euro, che sinceramente non sembrano tanti: ed aveva effettuato, si presume sempre presso Unicredit, operazioni in derivati a copertura del rischio di cambio euro/yen, nonché operazioni in valuta. Si tratta di argomenti non decisivi, tutt’altro. I derivati a copertura del rischio di tasso potrebbero essere stati sottoscritti per la stessa ignorantia economiae che provocato la sottoscrizione del convertible swap. E e senon basta aver fatto operazioni in valuta per divenire multinazionali, il livello dell’indebitamento qualifica a tutti gli effetti una Pmi, di cui la migliore letteratura, nonché numerosissime verifiche empiriche hanno certificato, negli anni, proprio la carenza di competenze in materia finanziaria.

La sentenza, allineata alla giurisprudenza della Cassazione (12138 del 26 giugno 2009), conclude affermando che la S.r.l. “non ha offerto la prova contraria, cioè che la banca era consapevole dell’inesperienza in strumenti finanziari.”

Non si può entrare fino in fondo nel merito del dispositivo del Tribunale di Torino senza leggere gli atti di causa, ma è difficile sottrarsi alla sensazione di una sentenza che, più che ingiusta, è fuori della realtà, priva com’è di capacità di cogliere ciò che l’esperienza quotidiana mettono sotto gli occhi, ovvero che le imprese, specie se Pmi, prima ancora che di finanziamenti, hanno bisogno di criteri per utilizzarli e per gestirli. Sotto questo profilo è illuminante l’esperienza personale di chi scrive, soprattutto nell’ambito della Scuola d’Impresa della CdO, laddove, aula dopo aula, imprenditore dopo imprenditore, il bisogno che emerge è quello di essere aiutati a scegliere, di una compagnia, di superare presunzione ed individualismo. Proprio quello che (quasi tutte) le banche non fanno, proprio quello che è difficile, ma non impossibile, chiedere ai professionisti. Però, nonostante questo, l’unica cosa che vale la pena fare e continuare a lavorare ed insegnare bene. Nonostante il Tribunale di Torino, e nonostante Unicredit.